Dopo un paio di giorni, oggi, 14 agosto, riprendo a raccontare le mie ultime giornate. Beh, intanto mi trovo in Cina: si proprio nella grandiosa Cina, per esattezza ad Urumqi, destinazione finale del treno di ben 24 ore che da Almaty mi ha condotto nell’enorme repubblica popolare.
La mia permanenza ad Almaty si è protratta e conclusa tranquillamente, tra birrette nei diversi bar che puntellano il cuore della città e qualche passeggiata qua e là, senza un preciso obiettivo.
Come preventivato, Almaty doveva essere inquadrata come una meta di mero scalo, e così è stato.
La città infatti è ben più adatta al relax ed alla vita sociale (pur essendo da solo, sic!) che alle visite.
La mia esperienza kazaka, nel paese più “vuoto” al mondo (non a caso i russi facevano qui i loro test nucleari), è stata assolutamente positiva.
Sono riuscito a riposarmi nel bello, ma vecchissimo, hotel in cui ho soggiornato ed ho rallentato un po’ i ritmi in vista della tratta cinese, che si preannuncia decisamente più intensa ed interessante.
All’alba di lunedì, dopo una mediocre dormita, ero pronto per la partenza dalla stazione dei treni di Almaty, la monumentale Alma-Ata 2.
Particolare curioso è come ad Almaty – e, tra le altre, anche a Bukhara – le stazioni siano numerate: non che abbia nulla in contrario, ma, da italiano, abituato come sono a dare un nome pure ad un angolo tra due vie, ho trovato la numerazione delle stazioni un emblema della mancanza di anima e di storia di certe località.
Nonostante le mie bassissime aspettative, il treno che collega la vecchia capitale del Kazakhstan con la Cina è ottimo, pulito e, incredibilmente, quasi vuoto.
Nel mio intero vagone, quasi isolati in quarantena, eravamo solo in 5, tutti europei e separati dagli altri!
Certamente molto positivo avere tutta per me la cabina: isolati ma felici!!
Il lungo viaggio di 24 ore è diviso in due ampie parti da almeno 5 ore di controlli tra l’uscita dal Kazakhstan e l’ingresso in Cina.
Circostanza ulteriormente priva di senso è stata l’assenza di qualsiasi rivenditore di bevande o cibo su un treno che attraversava il nulla per centinaia di kilometri.
Devo ammettere che, essendomi presentato senza nemmeno un goccio d’acqua alla partenza (stupida dimenticanza!!), tale notizia ha avuto un impatto assolutamente negativo sul mio umore.
Per fortuna, parlando a gesti con gli addetti cinesi del treno, comprendevo che una volta entrato nella loro madre patria avrei potuto bere e mangiare alla prima stazione. Meno male!!
L’ingresso in Cina è sicuramente una delle cose più impressionanti affrontate nel viaggio. Ciò non solo per la potenza cinese resa manifesta dagli imponenti edifici posti sul confine, ma soprattutto per il tipo e la quantità di controlli a cui veniamo sottoposti, peraltro turisti, intenzionati solamente a visitare il paese e conseguentemente a spendere i propri soldi in quella terra.
Non dico si abbia paura, ma certamente si è messi in grande soggezione.
Ah, vero: devo spiegare una cosa. Perché ho usato il termine NOI!
La strana idea dei cinesi di ghettizzarci in un vagone è almeno servita per fare conoscere cinque pazzi come me, intenzionati ad attraversare la Cina in treno. Eravamo due svizzeri, un spagnolo, un tedesco ed io. Stranamente il più sfigato ed antipatico era lo spagnolo, mentre il tedesco, un classico nerdz teutonico, era tutto sommato di buona compagnia, come pure i due svizzeri.
Oltre ad aver scambiato piacevoli chiacchiere, abbiamo anche condiviso lo stress e la sorpresa dei tremendi controlli: come si dice, mal comune, mezzo gaudio!
Finalmente alle 10:30 siamo usciti dalla stazione di Urumqi ed ognuno ha preso la propria strada, tranne io ed il tedesco che, direi insensatamente, abbiamo percorso insieme la distanza di circa 2 km che ci separava dal centro cittadino. Tutto sommato due chiacchiere si fanno a qualsiasi prezzo quando si viaggia da soli.
Percorrendo le strade di Urumqi ci si rende subito conto che quella che doveva essere la più remota città della Cina è una megalopoli che per modernità fa impallidire le più grandi città italiane!
Grattacieli, banche e superstrade che si intrecciano come i nodi delle scarpe dominano un panorama decisamente futuristico.
Giunto in hotel, e dopo aver scoperto che tutti, tranne il tedesco, avevano scelto il mio stesso alloggio, mi faccio una meritata doccia e mi tuffo per le vie della città.
Prima tappa obbligatoria la banca: dovevo infatti procurarmi yuan e potevo farlo cambiando gli ultimi 59 dollari rimasti nel portafoglio. A metà vacanza, salvo qualche strisciata, non ho ancora mai fatto un prelievo bancomat. Piccola precisazione: ero partito con 500 dollari dall’Italia per due semplici ragioni. La prima è che, quando affronto viaggi complicati come questo da un punto di vista organizzativo, porto con me un po’ di dollari, sempre facili da cambiare ed accettati molto volentieri in qualsiasi parte del globo. Il secondo motivo derivava invece dalle problematiche legate all’utilizzo delle carte in Uzbekistan, paese quasi privo di ATM dove, tuttavia, è possibile pagare molto facilmente con la valuta americana.
Anche il cambio valuta alla Banca della Cina dà l’idea della meticolosità e precisione dei controlli cui, evidentemente, mi dovrò abituare.
Dopo una mezz’ora buona esco dalla banca con i miei soldi in mano: anche questa è andata!!
Ah, dimenticavo, l’unica mia altra preoccupazione era quella di verificare di aver ricevuto i biglietti del treno in hotel. Dovete infatti sapere che in Cina non è concesso agli stranieri di acquistare on line i biglietti, pertanto ho dovuto incaricare un’agenzia locale affinché li comprasse per me e me li consegnasse poi presso l’albergo.
Nulla in questo viaggio è fattibile senza grande studio ed organizzazione.
Come potrete immaginare al mio arrivo in hotel ho trovato tutto al proprio posto: i biglietti erano arrivati! Come potevano deludermi i cinesi?! Questi non perdono un colpo!
All’uscita della banca, dopo poche centinaia di metri, venivo bloccato da un simpatico e giovane cinese che, pur parlando un inglese di difficile comprensione, mi chiedeva di fare due chiacchiere e mi suggeriva di farlo in un ristorante di sua conoscenza, poco lontano da lì.
Che dire: la fame era tanta ed il tipo pareva simpatico. Proposta accettata!
Nel corso del pranzo, in un ristorantino veramente tipico e che mai avrei trovato da solo, io ed il ragazzo parlavamo davvero tantissimo dei nostri rispettivi paesi ed il tempo correva piacevolmente.
Il ragazzo era uno studente di un corso militare: era in effetti molto appassionato di armi ed anche di storia. Lo era talmente tanto che dopo una lunghissima conversazione non riuscivo più a capire se le sue domande sulla storia e la situazione italiana stessero diventando una sorta di inquisizione nei miei confronti. Di certo no, ma il fare militaresco era del tutto evidente.
Incredibile notare come conoscesse dettagli apparentemente insignificanti per me della storia italiana, palesemente appresi nell’ambito di una educazione volta alla costruzione di una precisa inquadratura sulle caratteristiche dei principali paesi al di fuori della Cina.
Quando infatti ha iniziato a parlare con insistenza, e con grande ma infondata autorevolezza, delle problematiche del nostro sistema sociale e politico, decidevo che si era fatta l’ora di riprendere la mia passeggiata.
Dopotutto sazio ero sazio e c’era da visitare Urumqi, che già domani dovrò salutare.