Inizio a scrivere questo mio diario di viaggio solo ora, il 6 di agosto, mentre sono sul treno per Bukhara e nonostante il mio viaggio sia iniziato già da 4 giorni.
Ma si sa, spesso accade che il tempo manchi e che l’ispirazione tardi a venire.
Andiamo però con ordine: sono arrivato in Uzbekistan giovedì notte, dopo un’intera giornata di viaggio tra aerei ed aeroporti. La parte di viaggio che amo di meno.
Sin dall’arrivo a Tashkent, la capitale, ho potuto percepire che l’Uzbekistan, ignoto ai più, è un paese particolarmente ordinato e dotato di infrastrutture funzionali e piuttosto moderne.
Appena uscito dall’aeroporto venivo travolto dalla classica ressa dei taxisti che, come leoni, sono a caccia di turisti da caricare. Una regola non scritta del viaggiatore è che il primo taxi, quello preso allo sbarco, sarà sempre il più caro. Sarà perché ancora non si ha confidenza con la valuta locale, ma soprattutto perché quella è la circostanza più semplice per il taxista per impugnare saldamente il coltello dalla parte del manico. Dopotutto chi non desidera arrivare in hotel dopo un lungo viaggio!!
Entro le 3 di notte arrivavo a destinazione, hotel Uzbekistan, certamente, dal mio punto di vista, il più rappresentativo della città.
Questo hotel è infatti ospitato in un enorme palazzone in puro stile sovietico che perfettamente introduce in questo strano mondo di mezzo, di cultura musulmana ma sottoposto al controllo ed alla influenza russa dalla fine dell’800.
La città di Tashkent rispecchia esattamente questa situazione. La capitale infatti si divide letteralmente in due.
C’è la città vecchia, con il bazar, le viuzze strette, le case di fango e le moschee; c’è la città nuova, molto verde ed ordinata in modo quasi geometrico da grandi vialoni ed estesi parchi.
La città, ben al di là delle aspettative, ha un aspetto molto appariscente, grazie soprattutto agli enormi monumenti costruiti prima dai russi e successivamente dagli uzbeki dopo la ottenuta indipendenza.
Devo ammettere di essere rimasto positivamente sorpreso dalla capitale, molto vivace e vitale.
Il grande nemico di Tashkent, e dell’intero Uzbekistan durante il periodo estivo, è certamente il caldo estremo.
Le temperature sfiorano infatti i 40 gradi durante il giorno, non rendendo tuttavia la vita impossibile grazie alla totale assenza di umidità, alla presenza costante di aria o vento ed alla forte escursione termica che di notte porta la colonnina di mercurio sotto i 25 gradi.
La cucina, in perfetta linea con l’architettura, offre una promiscuità tra i piatti russi e quelli di tradizione musulmana. A dire il vero, data la natura geopolitica della zona, sembra possibile a Tashkent mangiare piatti provenienti da qualsiasi regione dell’Asia.
In questo paese, peraltro, l’abnegazione religiosa è meno significativa rispetto alle altre aree islamiche da me visitate, probabilmente grazie alla laica politica sovietica: si beve infatti alcol senza problemi e le ragazze, bellissime, possono permettersi un atteggiamento quasi “occidentale”.
In punto di alcol è divertente ricordarvi che non sono ancora riuscito a spendere 1 euro per una birra, il cui prezzo di mercato si aggira infatti sui 50 centesimi o poco più.
A proposito, altro elemento positivo in questa nazione è, per noi occidentali, il costo della vita.
Si ha infatti l’impressione di non riuscire a spendere i propri soldi.
Fatta eccezione infatti per i pur economici hotel, tutto il resto di cui avrete necessità è veramente poco costoso: per dare alcuni termini di paragone, le sigarette costano circa 1 euro, i pasti meno di dieci, una bottiglietta di acqua 20 centesimi e le corse in taxi partono da 50 centesimi. Incedibile, vero!!
Dopo una giornata nella capitale si comincia con il viaggio vero e proprio: sabato mattina primo treno per Samarcanda, antica capitale resa unica dal grande Tamerlano che la scelse quale centro del proprio grande impero.
Samarcanda è una città stupenda; molto più di quanto a parole si possa dire.
Il culmine di tanta bellezza è certamente rappresentato dal complesso del Registan, di certo il più importante e grandioso monumento del paese e dell’intera Asia centrale.
Quando si pensa che la parola significa, all’incirca, piazzale polveroso, si fa proprio fatica ad immaginare il sito prima della completa trasformazione che lo ha reso splendente così come lo conosciamo oggi.
Le tre madrasse, enormi ed incredibilmente decorate, circondano lo spiazzo interamente lastricato, creando un complesso incantevole che, mutando nei colori ad ogni ora del giorno, può essere ammirato senza mai cadere nella monotonia o nella noia.
Per il resto Samarcanda riporta integralmente i caratteri della capitale: una parte islamica, antica ed affascinante, ed una parte nuova, costruita dai russi, dal carattere rigoroso ed ordinato.
Certo va ricordato come non regga alcun paragone tra le bellezze della città vecchia di Samarcanda e quelle di Tashkent. La parte antica è infatti assai estesa ed è ricca di monumenti e moschee di una grandiosità tale da far impallidire la capitale.
La parte moderna, al contrario, non pareggia in imponenza quella di Tashkent.
Proprio ieri sera, davanti alla terrazza che si affaccia sul Registan, sono stato impezzato da un gruppo di giovani (si, molto più giovani di me!) del posto che si recano in centro città per conversare con i turisti, allo scopo di migliorare il proprio inglese. Segnale interessante che rispecchia il desiderio degli abitanti di queste terre ex sovietiche di aprirsi al resto del mondo rispetto cui erano stati isolati.
Viene inevitabilmente da chiedersi, lasciandosi andare ad una riflessione, se la autenticità di questi paesi sia ancora tale proprio grazie all’isolamento subito nell’epoca moderna. Chissà se la globalizzazione finirà per trasformare anche Samarcanda in una sorta di Disneyland per turisti, come accaduto, per dire, alla nostra Venezia.
Certo è che l’entusiasmo di quei ragazzi nell’affacciarsi all’occidente è assolutamente trasportante.
parte 1 di 7
Scritto da MATTEO DORELLO