Camino de Santiago, un’altra volta, perché?
La prima fu nel 2004, un’incognita, pieno di dubbi; in estate, per il decennale di quella prima volta, conto di arrivare a Santiago de Compostela, Galizia, Spagna, per quella che sarebbe la sesta.
Da Saint Jean-Pied-de-Port, da Siviglia, da Lourdes, punti di partenza differenti, una meta comune, quella città in un angolo della Spagna settentrionale che per raggiungerla ti devi sobbarcare un migliaio di chilometri, che tu lo faccia a piedi o in bici, da solo o in compagnia, giorni su giorni in cammino verso un traguardo che all’inizio appare lontanissimo.
L’orizzonte quotidiano è un albergue del pellegrino dove trovi altri che, come te, vogliono arrivare sulla piazza sulla quale si erge la cattedrale dedicata a San Giacomo, parecchi di loro alle prese con piedi afflitti da vesciche e bolle, muscoli che invocano una tregua, però è difficile che qualcuno si arrenda, il Santo aspetta laggiù in Galizia.
Ogni giorno ci si avvicina alla meta, in bici assai più rapidamente che a piedi, le strade e i sentieri accolgono ciclisti e camminatori senza distinzioni, intorno tutto sembra fare da ala al loro passaggio, il pellegrino avanza immerso in una bolla che lo isola da quanto accade nel mondo, entri nei paesi e nelle città da ingressi secondari e ne esci velocemente, il camino non è fatto di turisti che si soffermano a visitare più del minimo indispensabile, splendide città come Pamplona, Burgos, Leon meritano ben più delle attenzioni che gli si dedica, presi come si è dalla strada che attende.
Puoi maledire il freddo dei Pirenei, dove ti possono capitare nebbia e pioggia a metà giugno, poi tre giorni dopo finisci sulla meseta dove il grano cuoce con te sotto un sole implacabile ed il cielo è così azzurro e le nuvole così bianche che fai in fretta a scordarti il grigiore malinconico del convento di Roncisvalle e della leggenda di Rolando.
Pedali dalle 7-8 del mattino finché in tarda mattinata non si fa ora di un panino e di una cerveza, nulla di più tonificante di un boccale di birra fredda prima di ripartire, altri chilometri macinati tra colline e vigneti, pianure e campi di grano, un “buen camino” urlato ai camminatori che superi e che finiranno la giornata di marcia con il pranzo.
Con la bici vai fino al tardo pomeriggio, dopo la sosta post-prandiale, a chi va a piedi viene data la precedenza negli albergues, tuttavia l’offerta si è così ampliata negli ultimi anni che c’è posto per tutti, nessuno resta a dormire sotto le stelle.
Santiago si fa meno lontana, aumenta la gente lungo il camino, per avere la Compostela – il diploma che attesta il compimento del pellegrinaggio – è sufficiente aver percorso duecento chilometri, per molti già questa è una fatica, ripagata dall’emozione di vedere in lontananza le guglie della cattedrale e poi di entrare nella grande spianata quadrata popolata di pellegrini.
Felici di essere arrivati alla meta ma al tempo stesso tristi perché l’avventura è finita, all’improvviso ti rendi conto che l’indomani non avrai più da pedalare o da camminare, non ti rimane che il rientro a casa.
Ecco, è in quel momento che ogni volta io comincio a pensare a tornare sul camino di Santiago.
Grazie a Carlo Ronco,
un amico viaggiatore conosciuto in aeroporto a Malpensa prima del decollo per Reykjavik!
LIC
1 commento
molto bello, il racconto descritto in modo appassionato, grazie