India.
C’ è sempre stata l’ India nei miei pensieri. Una terra lontana, che ho sempre immaginato come un punto di arrivo e di scoperta. Scoperta sia personale che universale, un punto d’ incontro tra passato e futuro, dove Occidente e Oriente si possono incontrare. Un paese caldo, un paese strano e solitario. Sceso dall’ aereo te ne puoi rendere conto subito. Partiamo in tre prenotando solo i voli, lasciando il resto venire da sè.
New Delhi ha diciannove milioni di abitanti. Molti vivono e dormono in strada, da soli o in gruppo, sui marciapiedi e ai distributori di benzina. Usano brandine, oppure stanno semplicemente per terra. Migliaia, milioni di persone vivono così; fa effetto.
Addentrandoti puoi vedere le sfumature che questa città contiene. Strade grandi, con il traffico caotico e impazzito che le attraversa. Migliaia di clacson che suonano assieme, un rumore assordante e continuo. Le macchine vanno un po’ dove gli pare, rischiando spesso di scontrarsi. All’inizio hai paura, poi ci fai l’ abitudine e diventa quasi affascinante correre il rischio. Diciamo che ti tiene sveglio. Branchi di cani randagi girano qua e là cercando cibo. Abbaiano tanto e per questo spesso vengono presi a calci dai poliziotti. Questi ultimi sono una categoria a sé. Pieni di privilegi ( ospedali personali etc etc ), sono il pugno di ferro di istituzioni corrotte, la gente si spaventa quando li vede. Si sa, la storia è lenta nel suo evolversi e questo popolo è uscito da poco più di sessant’anni dalla colonizzazione occidentale (almeno formalmente). Le persone sono ricche (una ristrettissima minoranza) oppure povere. Queste ultime fanno i lavori che capitano, se ne hanno. Guidano ” tuc tuc” ( ce ne sono migliaia ) o, se non se li possono permettere, affittano carrettini e li guidano con le loro gambe. E ci sono piccoli commercianti, guide etc etc.
Se butti l’ occhio nei vicoli vedi il vero volto della miseria, lasciata a sé stessa.
Persone malate, morenti, senza gambe, ciechi….
Le mucche ti passano di fianco; sono tranquillissime. Fanno la loro vite mescolate al resto, così come le scimmie, che se ti avvicini giocano con te, si avvicinano e ti sfiorano velocemente, per vedere chi sei. Sono gli animali che si vedono di più.
Ogni tanto incontri gli anziani, persone che quando arrivano ad un certo punto della loro vita lasciano tutto ciò che hanno, tutto, per andare in giro, in pellegrinaggio. Chiedono da mangiare tre volte al giorno, e se non ricevono nulla quel giorno non mangiano. Ma la gente sa chi sono e li rispetta. Questo è il loro modo di dire addio alla vita.Uscendo dalle metropoli cominci a vedere la vera India. Paesaggi sconfinati si aprono all’orizzonte. Cambiano in continuazione poichè questa terra è diversa a ogni chilometro che percorri. Dalle terre sabbiose e aride a quelle umide della giungla, fino al deserto del Thar. La gente fuori è diversa. Non inghiottita dall’atmosfera cittadina, dove se hai soldi vivi se no muori di fame e sei quasi costretto a liberarti della tua specificità culturale in favore di un’ occidentalizzazione consumistica che si sta intensificando, questa gente è ancora un popolo di pastori, che si aiutano a vicenda nelle mansioni, vivendo con poco ma felici. La cooperazione qui vince ancora sull’ individualismo, la comunione e il rispetto dell’ ambiente che li circonda sono ancora caratteristiche fondanti di questo modo di vivere.
La religione, o meglio il divino, la spiritualità e il vedere il mondo attraverso essa sono più presenti che mai, senza veli di ipocrisia, almeno per la maggior parte delle persone. Gli occhi di questi uomini e di questi donne si illuminano quando parlano dei loro dei. Perchè ci sono tante divinità in India, tante quante sono le religioni. Puoi vedere giainisti, induisti, buddhisti, cristiani e musulmani vivere e lavorare l’ uno affianco dell’altro senza tensione, profondamente convinti del loro senso di appartenenza, convinti di ciò in cui credono. Il divino è presente ovunque, in strada come in casa, al tempio come al negozio. Certo sotto una chiave politica questo fa molto comodo, ma non mi voglio addentrare nelle contraddizioni del sistema catastale.
E poi ci sono le donne. Molte hanno ancora il sari, questo abito che trasmette il significato, l’ essenza della femminilità. Una femminilità che ha dell’ antico, del mistico. Come diceva anche Tiziano Terzani nei suoi racconti. Non parlano granchè, specialmente con gli stranieri. Le scorgi dietro l’ angolo di una casa, oppure mentre attraversano la strada con un cesto in testa mentre ritornano al loro villaggio. Qualcuna si gira di tanto in tanto, ti guarda fisso negli occhi e se ne va. Gli sguardi colpiscono. Sguardi che contengono tanto dentro, come quello di una signora, di circa cinquant’ anni (anche se l’ età media sfiora i sessanta e magari un trent’ enne può sembrare anche quindici anni più vecchio): se ne sta accovacciata per terra con la testa bassa. Stiamo per ripartire e le diamo le rupie rimaste in giro. Mi chino verso di lei, allungo la mano per darle i soldi. In quel momento alza gli occhi, si mette a ridere e si rigira. Non prende un centesimo. Sono circa duecento rupie, può andare avanti per un po’. Con un euro ti fai un pasto completo. Niente. Sono episodi che restano scolpiti dentro. Vediamo anche tre bambini, da soli, sui sei o sette anni massimo, guardare con insistenza un carrettino che vende gelati. Il costo di un gelato è sui settanta centesimi di euro, ma non possono permetterselo. Gli compriamo tre cornetti. Non ci credono, sono a bocca aperta. Questo non per una playstation o per un i-phone. Per un semplice gelato.
Poi c’ è Shyam, un ragazzo di ventisette anni, sposato con una bambina di tre, che ci accompagna per duemilacinquecento chilometri in giro in macchina. Musulmano, si dimostra un amico: nei piccoli atteggiamenti, nel modo che ha di ascoltare e di parlare con noi, nella sua umiltà; nel raccontarci la sua storia fatta di dolore ma anche di tanta forza di volontà per uscire da una misera condizione sociale, nell’offrirci da mangiare e nell’assisterci quando siamo in difficoltà, senza mai tentare di imbrogliarci, come è capitato in altre occasioni.
Poi ci sono le sere passate a ballare, cantare e discutere con giovani come noi, scambiandoci pensieri e opinioni sul mondo. Uno di loro ci ferma e canta per noi una canzone, senza voler niente in cambio, per il semplice piacere di farlo. Facciamo lo stesso.
E poi l’ ultimo giorno. Decido di prendere un’ altra macchina per andare in luoghi appena scossi da un alluvione che ha fatto un disastro in alcune zone del nord. Lungo il cammino incontro vecchi con nipoti che cercano di prendere qualcosa da mangiare, giovani sdraiati per terra, in gruppo, in queste tendopoli ( grandi sacchi appoggiati su tronchi di legno ), stroncati dal diluvio e dalla fatica. Giungo a Rishikesh, un paesino sul Gange dove sono andati in viaggio anche i Beatles. Giro un po’ poi mi metto seduto per due ore sulla riva del fiume a guardare. Solo a guardare. I bambini giocano spruzzandosi l’ acqua addosso, le madri lavano le vesti e i loro figli. Fa uno strano effetto aver di fronte agli occhi scene così.
Ti riportano indietro, in una dimensione più naturale delle cose, dove la tecnologia ancora non ha invaso la quotidianità. Risveglia dentro di te sensazioni del passato. Conosco una ragazza russa che è in India per la decima volta nella sua vita. Mi dice : “..è magico non trovi ? “. Già. Un paese che ti cattura dentro. Che ti fa riflettere sul senso della vita e su tutto il resto. Ti mette alla prova. Ti scuote. Sono cresciuto sognando di poter provare le sensazioni che persone come Bertolucci, Burnett, Terzani e altri mi avevano trasmesso con i loro racconti. Quando torni ” vedi ” di più ma, per farlo devi anche perdere qualcosa. Certo è che se cerchi di fare un po’ di chiarezza, anche dentro di te, l’ India te lo permette. Ti mette in contatto con l’ autenticità delle cose, con l’ essenza stessa della vita. Ti fa vedere parte della verità. Quando torni non sei più la stessa persona. Non puoi.
Ringrazio Matteo e Max per avermi accompagnato e aver condiviso con me tutto questo.
Potrei raccontare ancora tanto, ma alcune cose preferisco tenerle per me.
Consiglio a chiunque viaggi in generale di lasciare sgombra la via dell’ imprevisto, di non alloggiare in posti comodi e sicuri e di buttarsi, accettando anche le difficoltà che possono sopraggiungere. Il vero modo di viaggiare, se si vuole capire qualcosa, è questo. Cercate di vedere con i vostri occhi.
Spero che l’ articolo possa trasmettere almeno un decimo di tutto ciò che ho provato e che ora farà parte di me per sempre. Il viaggio e la ricerca, che non finirà mai, continuano.
Fabrizio Villanti
GRAZIE da parte mia Fabri per questo racconto, mi hai emozionato parecchio. Non vedo l’ora di decollare per Delhi senza sapere dove andare a finire.
LIC